05. La difficile affermazione professionale
Se i lavori di linguistica spesso provocano aspri dibattiti a causa delle sue idee, ritiene che qualcosa di analogo sia avvenuto e avvenga quale reazione ai suoi saggi sull’imperialismo americano, sull’ideologia americana, sul ruolo degli intellettuali?
Ci sono differenze, e complesse. Ho già fatto menzione della mia opera prima, da fresco laureato, nel campo della linguistica. Erano gli anni cinquanta, epoca in cui avevo realizzato buona parte del lavoro di base che ho poi seguitato a sviluppare. Non che me ne importasse molto, francamente, ma mi sforzai di fare la cosa più naturale, ossia sottoporre parte di quel lavoro a una cerchia di competenti. Presentai una comunicazione a un seminario estivo di linguistica nel 1953 o 1954, ma non lo presentai mai alle riunioni dell’Associazione degli studiosi di linguistica. L’unica comunicazione che inviai al principale organo dell’Associazione aveva ben poco a che fare con il lavoro da me effettuato. Si trattava di una replica a una critica (che ritenevo molto ingiusta) contro l’opera di Harris. Incoraggiato da Roman Jakobson, mandai un articolo ad un’altra rivista di linguistica, ma me lo vidi respingere a volta di corriere. Tranne che per alcune recensioni, pubblicavo fuori dal mio vero campo, ad esempio nei Procediing of the Institute of Radio Engineers. Mandai il libro cui stavo lavorando a un editore, ma anche questa volta ebbi un rifiuto. Uscì vent’anni dopo, quando c’era chi aveva interesse a riesumarlo. Nel 1957 comparve in Olanda una monografia intitolata: Le scritture delle sintassi. In realtà si trattava di un aggiornamento di certi appunti preparati per le mie lezioni agli studenti del MIT che il curatore di una rivista specializzata, dopo averli letti su suggerimento del mio amico e collega Morris Halle, mi aveva pregato di lasciargli pubblicare. Vedevo ben poche possibilità di interessare i linguisti professionisti a quest’opera, che ero incline a considerare un interesse del tutto personale. Presentai parte di quegli appunti ad incontri di studio che si tennero nel 1958 e 1959. Alcuni linguisti, non molti, mostrarono un certo interesse. La conferenza che tenni nel 1959 in realtà non è mai stata pubblicata. E altri lavori che feci verso la fine degli anni ‘40 apparvero a distanza di una trentina d’anni.
La ragione per cui insegno al MIT è una diretta conseguenza di questa situazione. Non avevo alcuna prospettiva in Università che avessero una tradizione in qualsiasi sfera collegata alla linguistica, si trattasse di antropologia o altre discipline affini, perchè il mio lavoro, e forse a ragione, non era considerato come veramente attinente alla linguistica. Per giunta, non avevo credenziali professionali acquisite in quel campo, sono il primo ad ammetterlo. Fu così che finii in un laboratorio di elettronica. Non saprei maneggiare nulla di più¹ complesso di un registratore, e forse nemmeno quello, ma mi trovo da trent’anni in un laboratorio di elettronica, e questo perchè qui non c’erano interessi precostituiti e il direttore dell’istituto, Jerome Wiesner, era disposto a rischiare su certe idee strane che avevano l’aria di poter diventare interessanti. Occorsero parecchi anni, in realtà , prima che ci fosse un pubblico, una comunità professionale e accademica con cui potessi esporre e scambiare idee su quello che ritenevo essere il mio campo di ricerca, In principio, c’erano solo pochi amici. Le conferenze, o meglio, le conversazioni che tenni negli anni cinquanta, ebbero luogo in centri di calcolo, seminari di psicologia o altri punti di aggregazione estranei a quello che sarebbe stato il mio settore. Solo alcuni specialisti di linguistica, come Bernard Bloch, di Yale, avevano un certo interesse per il mio lavoro. Bloch mise una fotocopia del mio libro non ancora pubblicato nella biblioteca del suo dipartimento, e verso la fine degli anni cinquanta mi invitò a tenere qualche conferenza. Fui anche invitato, più o meno in quel periodo, a fare il pendolare fino alla Columbia e alla Pennsylvania University per tenervi dei corsi. Questo, grosso modo, è tutto.
Ma al principio del decennio successivo le cose incominciarono a cambiare. La ragione principale fu che inaugurammo i nostri corsi regolari al MIT, e gli studenti vi si iscrissero numerosi, con una successiva proliferazione del fenomeno. Non solo al MIT, ma anche in altre sedi. Nel giro di pochi anni, emerse e si consolidò un nuovo settore di ricerca. E si rese disponibile una comunità accademica con la quale avevo uno scambio di idee, proposte e suggerimenti, come avviene talvolta in campo scientifico. C’è anche dell’irrazionalità , ce n’è dovunque, ma si osservano in buona misura le regole generali di un dibattito razionale. Uno pubblica un libro o un articolo, e si aspetta che gli altri lo leggano, esaminando le idee esposte, pensandovi, verificando se le argomentazioni sono valide e controllando se i fatti corrispondano alla realtà , e infine forniscano un’analisi critica o proposte di modificazioni e miglioramenti. Questo non avviene sempre al meglio, ma almeno avviene secondo regole e presupposti che valgono nel mio campo di ricerca.
I presupposti, in quale misura sono comuni a tutti i rami della ricerca?
E’ difficile dare un giudizio quantitativo. In linea di massima, non credo che ci sia differenza fra il nostro campo e quello delle scienze fisiche. Vede, nelle scienze fisiche si è venuta a formare una lunga storia, un cumulo di conquiste che è diventato parte intrinseca di quei settori della ricerca.. Non si ha nemmeno il diritto di entrare nella discussione scientifica, in quei settori, se non ci si è fatti padroni della loro storia. Uno può sempre metterla in discussione, non ci è stata dettata da Dio, ma occorre quanto meno capirla, e capire perchè le teorie si sono sviluppate in un determinato modo piuttosto che in un altro e su che cosa si fondano, eccetera. Altrimenti, non si può partecipare alla discussione scientifica, il che è assolutamente giusto.
Ma questo vale solo per piccolissimi settori della ricerca. Ogni tanto nuovi settori accedono a questa condizione di privilegio, ad esempio la biologia molecolare venticinque o trent’anni fa. Ma la maggioranza delle discipline di ricerca – e la linguistica si trova, grosso modo, in quest’area che definirei periferica, – non può vantare quel patrimonio di successi, di approfondimento intellettuale, che hanno certe scienze fisiche. Naturalmente, c’è molto da conoscere. In realtà , ciò che si deve conoscere in un settore non è affatto correlato con il successo conseguito. Forse è il contrario: quanto maggiore è il successo, tanto minore, in un certo senso, è il numero delle cose da conoscere.. E’ sufficiente capire: occorre capire di più, ma forse c’è meno da sapere. Al contrario, in altri campi dove minore è la profondità delle intuizioni e la necessità di conoscenza, vi è un enorme numero di nozioni di apprendere, per controllare i fatti. In campi del genere, l’interscambio culturale è necessariamente assai diverso da quello che sarebbe ideale secondo la scienza. È difficile stabilire il giusto valore degli elementi acquisiti con la ricerca perchè tali elementi non sono molto precisi, nè profondi, e raramente – e solo marginalmente – sono avvalorati da dati certi. Come campo di ricerca, la linguistica si pone a metà strada tra questi estremi.
Ciò che sostengo, in definitiva, è che l’esigenza basilare della ricerca nel nostro campo è la precisa valutazione delle argomentazioni e dei dati raccolti. Il che avviene in modo più o meno completo ed efficace, ma a questa esigenza sono legati i ricercatori che operano nel nostro settore. In altre discipline, poniamo negli studi sociali, specie per quanto si riferisce alla storia contemporanea, non credo che questa esigenza sia capita e accettata; non si fa nemmeno mostra di accettarla. Forse lo si fa a parole, ma non se ne è convinti dentro. Così, poniamo, lei mi domanda quale sia la reazione al mio lavoro in questi campi di indagine, e io le rispondo: Nessuna.
Dubito che quanto scrivo su argomenti del genere possa mai essere anche solo recensito in una qualsiasi delle pubblicazioni accademiche americane.