L’arte del doppiaggio
Un viaggiatore dell’arte nel doppiaggio di Cristina Chiochia.
Cip Barcellini è riuscito in 40 anni di carriera a potenziare al massimo la sua vena creativa che lo ha portato ad essere attore, doppiatore, regista radiofonico, direttore di doppiaggio, poeta e pittore.
Lo incontriamo nel suo ufficio, che è anche una gradevole “oasi di pace”, ricavata presso gli studi della Merak Film, importante studio di registrazione e di doppiaggio di Milano, sua ultima creatura artistica. Tre le cose che ci colpiscono sulla sua scrivania: le videocassette “rivedute e corrette” dei suoi innumerevoli viaggi, i cataloghi delle gallerie che hanno esposto e venduto i suoi quadri, un piccolo portachiavi a forma di mappamondo accanto all’agenda fittissima d’appuntamenti.
Dal primo colpo d’occhio, insomma, Cip Barcellini ci appare un viaggiatore dell’arte, non solo un artista. Uno che è riuscito ad essere, prima di tutto, attore: con una carriera nata per caso come cantante e cabarettista in una delle prime “orchestra spettacolo” italiane, con cui ha girato il mondo lavorando su una nave da crociera.
Tutto cominciò quando, in Germania, a metà degli anni ’50, quando era solo un aitante studente dell’accademia d’arte di Monaco, condizionato dalla guerra e dai sacrifici fatti in Italia, si mise a lavorare su grosse navi da crociera nei Carabi, “quando in America si arrivava solo per mare”,ci dice,
ed aggiunge:
“quella fu un’epoca meravigliosa. Anche se ogni volta che scendevo a terra, mi fermavano come disertore, essendo Italiano e non avendo assolto gli obblighi di leva benché all’estero per motivi di studio”.
Una volta tornato in Italia a causa del militare, decise di rimanervi e, dal 1972 al 1980, lavorò per nove anni al Piccolo Teatro, con Giorgio Strehler. A solo titolo d’esempio, si cita l’edizione della stagione 1974/1975 del “Il giardino dei ciliegi” che vantò 96 recite in sede, iniziate il 3 Dicembre 1974 e terminate il 3 Aprile 1975, quando lo spettacolo riprese al Teatro dell’Arte dal 14 Aprile all’8 Maggio 1975.
Lo ricordiamo inoltre anche nel film “Una questione privata” nel 1967 e “Il buon soldato Sweitch” sempre del 1967. Ma fu Carosello a renderlo famoso tra il 1964 ed il 1965. Anche se Cip Barcellini, con un grazioso senso del pudore, pare non essere interessato alla “fama” fine a se stessa tanto da non parlarne neppure troppo volentieri
“non ho mai fatto l’attore per diventare famoso,ma per sentirmi addosso la mia vita”.
Forse per questo, egli è riuscito anche ad essere poeta e pittore. Quasi se, assecondando il suo talento, assecondasse la vita ed un momento bello fosse più bello se prolungato attraverso la scrittura o la pittura.. Come egli stesso ci dice parlando della prossima pubblicazione (prevista per Natale) della sua raccolta poetico narrativa intitolata : Appunti?!: “[…] quando mi mancano i colori, scrivo o tento di farlo, appunti, aneddoti,stralci di poesie e racconti da ricordare,per annotare i ricordi o le emozioni di una nuova ispirazione”.
D: Signor Barcellini, sicuramente la prima domanda di questa intervista dovrebbe essere da “quale carriera”cominciare?¦..
No, non credo. Sono tutte guidate dalla stessa ansia di vivere: scrivere, disegnare, dipingere, raccontare e raccontarsi come attore o doppiatore, sono tutti momenti necessari per fermare ciò che sono ,per avere “memoria” in quello che diventerò e sarò.
D:Tutte quante attraverso gli occhi vigili dell’attore, dunque?
Sicuramente sì .Il mio è un viaggio nella consapevolezza e nella memoria di ciò che sono e di ciò che sarò sempre: un attore.
D: E quando ha cominciato a fare l’attore?
Dal lago d’Orta, dove sono nato e cresciuto, mi sono trasferito in Germania, a Monaco per frequentare il Theater Wissnschaff improvvisandomi interprete,insegnante di italiano e cantante!
D:Cantante?
Sì .Facevo l’orchestrale ed il cantante. Inseguivo i miei sogni adattandomi alle varie situazioni. In un giorno soltanto sconvolsi la mia vita: presi i bagagli e partii con un’orchestra che cercava seduta stante un cantante per una tournee che doveva durare appena un mese .Preparai i brani in pulmino, mentre ci dirigevamo al locale. Fu un fiasco totale che ci dimezzò il contratto: da un mese a quindici giorni..mi sentii così in colpa che decisi di rimediare: fu allora che divenni cabarettista!
D:Cabarettista?
Sì .E me la cavai bene! Tanto che il proprietario decise di tenerci! Fu in questo contesto che nacquero i “Vitelloni”, scritturati su una splendida nave da crociera che salpava da New York.. non posso che pensare, con un filo di nostalgia,a quei tempi..quando si era giovani, ed innamorati della vita!
D: Poi, tornato in Italia, arrivò il successo, e l’accesso in RAI, i film, i lavori al Piccolo Teatro e l’essere testimonial per “Carosello”, ben 120 caroselli pubblicitari che la resero notissimo.
Arrivò tutto. Ma non ebbi mai i miei quindici minuti di celebrità tutti assieme. E non me ne lamento. Sono un artista anomalo. Mi sento spesso “spogliato” di fronte al pubblico, non mi concedo mai totalmente, non sono mai “nudo”in qualsiasi forma artistica io decida di esprimermi. E la differenza si sente. E voglio che si senta.
D: Poi nel 1980 arrivò il doppiaggio e la professione di manager nel mondo del doppiaggio. Il doppiaggio, a ben vedere, è la “longa manus” dell’attore, come uno specializzarsi di un attore professionista attraverso la sola voce. Perché ha scelto di specializzarsi proprio in questo settore e fondare una società ?
Il doppiaggio si può dire sia nato con me. Ed io con lui. L’ho sempre fatto,anche prima di fondare la Merak Films. Ho lavorato sugli sceneggiati RAI fino al 1996 per esempio, ed ancora seguo qualche lavoro per loro, anche se sporadicamente. Certo. Un attore specializzato in doppiaggio deve avere sicuramente alcune caratteristiche vocali, in più bisogna sentirsi “portati”, ed essenziale è poi avere una buona dizione: non tutti i bravi attori sono bravi doppiatori, e non tutti i bravi doppiatori sono dei bravi attori. Ma la mia scelta fu motivata allora essenzialmente da motivi familiari, che mi hanno permesso di costruire però tutto questo..
D:¦..Sicuramente la Merak dispone di sale di doppiaggio corrette dal punto di vista timbrico e con un elevato coefficiente di fono isolamento che garantisce la possibilità di lavoro in qualunque situazione di disturbo esterna.
Caratteristica fondamentale per la qualità del lavoro, non dimentichiamo che qui si doppiano per esempio tutti i cartoni animati di maggiore successo televisivo!
D:Vorrei tornare al doppiaggio e la televisione. Dalla sua esperienza sul campo come direttore del doppiaggio,per esempio, cosa è cambiato rispetto a prima?
Quando facevo il direttore di doppiaggio non avevano molta importanza il numero di righe doppiate in una giornata, era la qualità del lavoro il vero indicatore. Il parametro era cosa si stava doppiando: se un cartone animato, un film, un documentario. Ora, invece, per contratto aziendale, vige la regola del minimo e del massimo: tot righe al giorno. E la qualità non è più un valido indicatore, ma un sottocriterio a cui molti neppure si attengono.
D: Diventare doppiatore: una professione sicuramente evocativa ed affascinante. Ma un doppiatore professionista ora, lavora meno o lavora di più rispetto al grande boom degli anni ’60?
e’ fortunato se lavora. Oramai esistono solo artisti “standardizzati”, come i contratti. Non esiste più la distinzione tra giovani professionisti, e veterani del settore. Questo vuol dire che un giovane “costa” all’azienda esattamente come un professionista che lavora nel settore da 30 anni. Nessuno è pronto a “rischiare” per offrire ad un giovane la sua grande occasione!
D:Ma allora quanto vale la pena investire tempo e denaro per diventare doppiatore professionista?
Investire nei propri sogni conviene sempre. L’importante è diffidare da quelli che promettono troppo. Penso che il nostro sia un contesto lavorativo precario per i giovani professionisti, ma non chiuso, semplicemente difficile e non tutte le scuole, neppure le più costose, garantiscono poi il lavoro. Oggi, la qualità non è il primo problema della tv ed il doppiatore-attore (o chi lavora al montaggio ed alla produzione ) inevitabilmente lavora invece come professionista , anche se per la tv. Ma in TV si lavora più come dieci o venti anni fa. Allora c’erano attori veri, doppiatori veri, professionisti veri. Ora va di moda la real tv ed i professionisti non vengono neppure chiamati..
D:Un tema spinoso: i diritti d’autore. So che c’è molto fermento e tanta confusione e che i colossi della distribuzione pregano i professionisti del settore di non concludere accordi contrattuali con la rinuncia dei diritti d’autore od in antitesi con gli accordi sindacali, in definitiva, cosa c’è che non và ?
Gli anni sessanta sono stati anni di lotte per quanto riguarda tutti i settori lavorativi, quindi anche questo. Si sono ottenuti buoni contratti, anche se ora ci si trova di fronte ad un nuovo vuoto legislativo. Con il contratto generalmente si firma anche la liberatoria. E quindi la rinuncia ai diritti d’autore. Ovvero, scaduto il lavoro di doppiaggio in sala, nulla è più dovuto in futuro. Il diritto d’autore non è assolutamente protetto.
D:Concludendo, la chiave della sua arte pare la necessità di documentare la sua vita attraverso varie tecniche. La tecnica attoriale, la tecnica della pittura, una tecnica della poesia..
La vera chiave, forse, è l’ironia. E’ l’ironia che anche nei momenti peggiori mi ha permesso di reagire ed “esprimermi nell’arte”. Si tratta di un pregiudizio tenace quello di parlare solo di tecnica, ci vuole anche tanto cuore.
In un attore professionista, in un doppiatore, c’è sempre anche tanto cuore, è vero. E molto ne abbiamo trovato in Cip Barcellini. Indubbiamente la sua professionalità nasce dalla tecnica, proprio perché, come la tecnica stessa, essa è “perfettibile” ed in continua evoluzione. La “sua” pittura, la “sua” poesia, la “sua” arte è come un punto fisso della “sua” tecnica, ma anche un nuovo punto di partenza per un viaggiatore dell’arte come Cip Barcellini.
Cristina Teresa Chiochia
Pubblicato da Cristina Teresa Chiochia il 30 Novembre 08