08. Gli ambiti di ricerca, ipotesi di rivoluzioni, pericoli
Lei ha scritto che forse, un giorno, potrebbe nascere una scienza della natura umana che potrebbe consentirci di orientare la nostra azione nella costruzione di una società migliore. A questo proposito, storicamente parlando, non è vero che spesso i rapporti fra scienza e anarchismo sono stati antagonistici? Non è vero che molti anarchici europei hanno dimostrato una certa ostilità non solo verso gli usi della scienza, ma anche verso la scienza stessa?
Be’, ancora una volta, la cosa è vera solo in parte. Kropotkin, per esempio, era un cultore di scienze naturali, ma non si occupava di specialità scientifiche più o meno peregrine, e si considerava uno scienziato come mentalità , preparazione e oggetto della ricerca. Ma credo che in fondo lei abbia ragione. Nella tradizione anarchica si riscontra la diffusa sensazione che vi sia nella scienza come tale qualcosa di troppo rigidamente strutturato e oppressivo, e la convinzione che dovremmo liberarci dei rigidi vincoli del pensiero scientifico.. Io non condivido questo atteggiamento. Non vedo argomenti che militino a favore dell’irrazionalità . Non credo che i metodi della scienza consistano in qualcosa di più e di diverso dal seguire la ragione, e non vedo perchè l’anarchismo dovrebbe contrapporsi alla ragione. Non credo che la ragionevolezza ci porti a soccombere all’oppressione e all’irregimentazione.
Riesco in un certo senso a comprendere che cosa stia alla base di questi modi di sentire, ma non posso in alcun modo condividerli.
L’indagine scientifica che cosa è in grado di rivelarci, oggi, sulla natura umana?
Oggi come oggi, pochissimo, per quanto ne so. Si potrebbero immaginare principi teorici eventualmente capaci di portare a qualche tipo di previsione circa il comportamento umano in mancanza di libertà , ma non a farci capire quali tipi di azione si potrebbero adottare.
Qui, anche lasciando da parte ogni considerazione etica, non credo che lo studioso potrebbe proporre una sperimentazione significativa, dato che non conosciamo abbastanza che cosa concorra a una libera scelta di questo o quel tipo di azione. Per elaborare degli esperimenti bisogna partire da qualche ipotesi provvisoria fondata sulla comprensione parziale di quanto potrebbe, o si ipotizza che potrebbe, determinare fenomeni. Nel caso del libero arbitrio, ossia della libera scelta da parte di una volontà libera, non vedo all’orizzonte nemmeno l’ombra di tale comprensione. Vi sono aspetti del pensiero e del comportamento umani che sfuggono alle nostre capacità di affermarli, oggi e forse per sempre.
Nei suoi scritti lei si riferisce agli anarchici europei, molto di rado a quelli americani, benché Rocker sia vissuto negli Stati Uniti.
Be’, in parte questo può essere dipeso dalla mia esperienza personale. Ma probabilmente anche dal fatto che la tradizione anarchica americana, almeno per la parte di essa più complessa ed evoluta, ci deriva da scrittori fortemente individualisti, che vale certo la pena meditare, ma che ho trovato assai poco utili per l’analisi dei problemi che mi interessano. Quello che, personalmente, mi attrae nel pensiero anarchico sono i tentativi di elaborare modelli di complesse società industriali altamente organizzate in un quadro di strutture e istituzioni libere. Gli anarchici americani, però, si sono occupati raramente di problemi del genere.
Chi includerebbe tra gli studiosi che se ne sono occupati?
Be’, tra gli anarchici, persone come Rudolf Rocker, per esempio, e poi molti spagnoli. Alcuni di loro hanno tentato di progettare in modo abbastanza particolareggiato una sorta di società libertaria: per esempio Diego Abad de Santillan, che nel 1937, in piena Guerra civile e in piena rivoluzione, scrisse un libro intitolato, Dopo la Rivoluzione. Santillan era molto deluso del modo in cui si andava evolvendo la rivoluzione degli anarchici, e tracciò un interessante programma particolarmente studiato per la Spagna, di cui venni in possesso negli anni quaranta quando frequentavo le librerie e le sedi anarchiche di New York, e che lessi con interesse. Vi sono pure molti testi, parte dei quali di orientamento marxista, il cui argomento è il controllo dello Stato da parte dei lavoratori.
Pensa che in questa linea di ricerca si faccia qualcosa di notevole nel mondo occidentale, oggi?
Non ritengo che ultimamente siano emersi contributi importanti. Il pensiero anarchico si è sviluppato in altre direzioni, come ad esempio l’ecologia. Nella Nuova Sinistra americana si scorge una specie di simpatia per alcuni elementi del pensiero anarchico. E’ una faccenda complessa, collegata in parte a un salutare allentarsi della stretta del marxismo ortodosso, almeno in certi settori della sinistra.
Lei concentra la sua attenzione sulle strutture globali del potere imperialistico e sul “socialismo libertario” e tradizioni anarchiche, il che sembra piuttosto atipico. Che cosa in pratica ha reso difficile agli anarchici l’affrontare insieme le due cose?
Spesso i libertari hanno evitato di impegnarsi attivamente nelle lotte antimperialiste e nazionaliste. Sfortunatamente il fatto è che in un mondo dove regna un potere enormemente concentrato e deciso a stroncare sul nascere qualsiasi esperimento sociale che possa giovare alle masse, ma essere dannoso ai settori privilegiati dei paesi egemoni, o dannoso per gli investitori stranieri, in un mondo simile vi sono ben poche possibilità di azione anche per le forze più libertarie, ammesso che esistano. Una vera rivoluzione socialista libertaria richiede importanti preparativi da parte di vasti settori della popolazione, che devono esser pronti a prendere in mano il timone della produzione e della distribuzione, nonchè della comunità , a elaborare e mettere in pratica accordi federali e in genere a creare istituzioni profondamente democratiche che diano al popolo mezzi efficaci per controllare la propria vita e le diverse comunità di cui è composto, e per partecipare alla formazione della politica in generale in ambiti più vasti di quello locale. E una tale intesa verrebbe subito fatta fallire dalla reazione di forze estranee e ostili. Si ricordi il destino della rivoluzione anarchica spagnola, schiacciata dalle forze combinate del fascismo, del comunismo e delle democrazie liberali, che una volta eliminata la minaccia incombente di una vera libertà si misero a farsi guerra l’una contro l’altra.
Consideriamo la situazione attuale nel Terzo Mondo e supponiamo che si formi in qualche paese una dirigenza rivoluzionaria impegnata a far partecipare la maggioranza povera ai benefici delle magre risorse disponibili, magari con un sistema politico autoritario. Il primo problema che una tale dirigenza dovrebbe affrontare sarebbe quello dello “sciopero dei capitali”e della fuga degli stessi, certamente favorita da coloro che controllano le decisioni di investimento e produzione nei regimi a economia di mercato. A questo punto la dirigenza del paese terzomondista potrebbe cedere, ristabilendo il vecchio ordine. Oppure potrebbe cercare di impadronirsi dell’economia privata ponendola sotto il controllo statale, il che nella situazione oggi prevalente porterebbe a una dura forma di socialismo di Stato, mentre le vere alternative libertarie sarebbero ancora troppo poco evolute per essere realizzabili. La leadership potrebbe reagire positivamente agli sforzi del popolo per assumere il controllo della produzione agricola e industriale, potrebbe facilitare, o almeno non ostacolare, una mobilitazione popolare rivoluzionaria in tutti i campi: sociale, economico, politico. Ma qualsiasi evoluzione del genere, sfortunatamente, fosse di stampo libertario o autoritario – più probabilmente autoritario -, provocherebbe l’implacabile ostilità delle grandi potenze e, nella sfera di influenza americana, anche interventi armati. Il primo obiettivo sarebbe impedire qualsiasi violazione dei privilegi legati agli interessi privati statunitensi, facendo abortire gli sforzi dei popoli del Terzo Mondo mediante sanzioni, o favorendo la sovversione interna, o con sanzioni economiche cui nessun Paese debole e sottosviluppato sarebbe in grado di resistere. Oppure, in alternativa, spingere gli autori di tali iniquità nelle braccia del blocco avverso, come poteva essere l’Unione Sovietica, e in questo caso ulteriori attacchi sarebbero giustificati in termini di “difesa”: la leadership rivoluzionaria può vedersi costretta a prendere misure liberticide, autoritarie, causa di crescente scontento fra la popolazione e da ultimo del fallimento del tentativo di cambiare radicalmente le cose. Il Nicaragua è un esempio recente di tale situazione.
Vi sono poche scelte rivoluzionarie realistiche, nel mondo così com’è, a meno che le popolazioni delle grandi potenze non raggiungano un livello di civiltà tale da superare l’attuale visione del mondo, riuscendo a far cessare la violenza degli Stati che dominano il sistema internazionale.
Nei Paesi a metà strada tra libertà e dittatura, come ad esempio il Cile, si potrebbe pensare di adottare la tecnica di Allende, che non funzionò nel suo caso, in gran parte per le ragioni che ho appena indicato. Bisogna stare attenti nel trarre lezioni dalla storia. Ogni situazione è diversa da tutte le altre, anche se forse si può desumere qualche insegnamento. In genere, le scelte sono pochissime.
Non siamo più nel XVIII secolo, quando i colonizzatori d’America, insediatisi in quella che probabilmente era la terra più ricca del mondo, poterono mettersi a sterminare la popolazione indigena, ad allargare i propri confini mediante la conquista, ridurre in schiavitù una cospicua massa di uomini quando occorreva, assorbire un forte flusso di manodopera europea a buon mercato e i capitali necessari per mettere a frutto le sterminate risorse del paese che occupavano, e questo restando al sicuro dalle depredazioni delle grandi potenze europee, troppo occupate nei loro conflitti, e diventare infine, nel giro di un secolo, il più ricco e potente Stato del mondo. I paesi in via di sviluppo oggi non possono permettersi lussi del genere.
Date queste realtà , è difficile che la gente impegnata nei movimenti libertari intervenga efficacemente in appoggio alla lotta sostenuta dal Terzo Mondo. Non dico che questa astensione, questa riluttanza sia giustificata, ma la trovo comprensibile. La gente si domanda, a ragione, se le opzioni e alternative libertarie esistano davvero.